Lo sviluppo di Greve è abbastanza recente. Intorno al Mille era un piccolissimo borgo appartenente alla vasta Diocesi di Fiesole e prendeva il nome dal fiume che scorre alla sua destra. Ancora nel 1551 contava novantadue abitanti e a metà dell’Ottocento il numero era salito solo a 600. Alla fine del secolo il paese ebbe un rapido sviluppo, dovuto anche al fatto che Greve era il paese di arrivo della Tranvia Chiantigiana che la collegava agevolmente con Firenze. All’inizio del Novecento così Greve contava circa 15.000 abitanti, numero che è calato a metà del Novecento, ma che ha ripreso a salire negli ultimi decenni, grazie alle nuove opportunità lavorative create dal turismo e dalla viticoltura moderna e dall’ingresso di tutto il comune di Greve nella zona del Chianti Classico. Inoltre i dintorni di Greve sono così incredibilmente affascinanti che hanno attirato non pochi stranieri: essi hanno comprato molte coloniche trasformandole in dimore ricche di comfort e bellezza.
Piazza Matteotti a Greve in Chianti (foto flickr.com/photos/jessmercer/)
La grande piazza centrale ci dimostra che Greve ebbe fin dall’inizio la vocazione di centro di mercato: qui infatti si incrociano la suggestiva Via Chiantigiana e la strada che congiunge il Valdarno alla Val di Pesa. Senza dubbio Greve serviva come punto di scambio dei prodotti dei vari castelli dei dintorni e ancora oggi, essendo praticamente a metà strada tra Firenze e Siena, è ragionevolmente considerato il paese più rappresentativo del Chianti Classico: vi si tiene infatti a settembre una grande mostra-mercato del vino. Nella grande piazza avevano luogo in passato le cosiddette “Riunioni di Greve” che avvenivano settimanalmente in occasione del mercato e che erano occasione di scambi di opinioni e confronti di idee sul progresso agricolo. Le aziende vitivinicole del territorio producono oggigiorno oltre 65.000 ettolitri di vino, ma non secondarie sono le attività casearie legate all’ottimo pecorino e gli squisiti e rinomati insaccati della zona.
Greve dolo il calar del sole (foto flickr.com/photos/5kuehlers/)
Il fatto che Greve fosse un piccolissimo centro fino alla fine dell’Ottocento si riflette sulla relativa mancanza di edifici storici, confronto reso ancor più netto dalla ricchissima storia artistica dei dintorni. L’ottocentesca piazza Matteotti ha una caratteristica forma a imbuto ed è illeggiadrita dai loggiati ove si aprono i caratteristici negozi di prodotti tipici, i bar e le trattorie. Al centro della piazza campeggia la statua di Giovanni da Verrazzano, il noto esploratore e navigatore, nato nel castello di famiglia non lungi da Greve, che per conto della Francia esplorò la cosa atlantica degli Stati Uniti e del Canada. Nel 1524 entrò come primo europeo nella baia di New York, gettò l’ancora nel Narrows, lo stretto fra Long Island e Staten Island, ove incontrò un gruppo di canoe dei nativi Lenape. Qui osservò quello che per lui era un grande lago di acqua dolce senza accorgersi del fiume Hudson. Non si conosce con certezza il motivo della morte avvenuta nel 1528: sembra che sia stato catturato e mangiato dai cannibali, forse a Guadalupa.
Museo del vino ed interno de Le Cantine di Greve in Chianti (foto www.lecantine.it)
Sebbene Verrazzano sia stato con certezza e con ricchezza di documentazioni il primo europeo a esplorare la costa degli Stati Uniti, per lungo tempo si celebrò Henry Hudson, che esplorò le stesse zone, ma molto più tardi, nel 1609. Solo dalla metà del Novecento si cominciò a fare il nome dell’esploratore chiantigiano, finché il suo nome non venne dato al famoso ponte chiamato familiarmente dai newyorkesi “The Verrazano”, punto di partenza della Maratona di New York.
Alla fine della piazza sorge l’elegante chiesa di Santa Croce di stile neoclassico eretta nel 1833. Vi sono state trasferite numerose opere d’arte provenienti dalle pievi dei dintorni.
Oggi monumento nazionale, il castello affonda le sue origini nel periodo longobardo: il suo nome era infatti Vicchio dei Lombardi. Un documento della Badia a Passignano cita l’edificio già nel 957 come proprietà di un certo Littifredo. Altri documenti dei suoi eredi, Imilda e Walfredo, parlano di vendite e affitti di parte del feudo. Nel sovrapporsi degli stili è difficile oggi sapere a quando risale l’odierna costruzione: di certo però la parte a occidente ha l’aspetto di un castello medievale, tutto in pietra e con l’alta torre merlata, mentre quella rivolta a oriente ha la tipica struttura di una villa toscana del Seicento. Il castello ha avuto nel corso dei secoli illustri ospiti: Leonardo ne ha tratto un disegno maestoso e imponente che troviamo nelle sue carte; Francesco Redi, il naturalista e letterato secentesco toscano, soggiornò nel castello mentre scriveva il suo celebre Bacco in Toscana. Nel periodo mediceo il nome venne mutato in Vicchiomaggio a ricordo delle feste fiorentine del Calendimaggio. Oggi è proprietà di John e Paola Matta che con gusto rispettoso del passato hanno aggiunto alla sua vocazione vitivinicola una raffinata attrezzatura turistica.
Del maniero in cui nacque nel 1485 il navigatore Giovanni da Verrazzano rimane poco: attorno alla bella torre romanica venne costruita in epoche diverse un’imponente villa signorile. Dopo che nel 1819 la casata dei Verrazzano si estinse, la tenuta passò alla nobile famiglia Vaj che a sua volta finì di esistere nel 1921. Attraverso vari proprietari la tenuta è passata all’attuale proprietario, il conte Luigi Cappellini, che ha riportato il complesso, con grandi restauri, a nuovo splendore.
Sulle incantevoli colline che circondano Greve si erge quello che doveva essere il Castello di Colognole, di cui rimangono tracce nella parte occidentale, dove si innalza una torre dal poderoso fabbricato in pietra.
Questo piccolo castello faceva parte della Lega di Cintoia, una delle amministrazioni del territorio organizzate dalla Repubblica Fiorentina agli inizi del Trecento: all’inizio proprietà della potente famiglia fiorentina degli Alamanni, verso la metà del Duecento passò sotto il dominio dei Bardi che lo ricostruirono nelle strutture attuali. La torre era alta ben 60 metri, ma l’avvento delle armi da fuoco resero proibitiva quest’altezza. Un terremoto nel 1896 causò la caduta della parte più alta della torre, riducendone così ancora l’altezza. Suggestivo è il cortile, uno degli angoli più attraenti del castello.
L’Abbazia di San Cassiano a Montescalari esisteva già da tempo in una fitta abetina, quando nel 1078 il santo fiorentino Giovanni Gualberto vi introdusse la regola vallombrosana. All’inizio si trattava di una piccola struttura: una chiesa, alcune stanze per i monaci, un oratorio e un ospizio per i viandanti. Ma grazie al lavoro dei monaci vallombrosani, l’abbazia si ampliò e nel 1262 venne ricostruita anche la chiesa. Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento la struttura venne risistemata secondo i piani dell’architetto Alfonso Parigi, autore di numerosi edifici fiorentini e di parte del Giardino di Boboli. Ma nel Settecento seguì un periodo di decadenza, fino ad essere completamente abbandonata nel 1775. Durante la seconda guerra mondiale l’abbazia subì ulteriori danni: la torre campanaria fu minata e crollò. Della chiesa, devastata dall’esplosione, rimase solo un rudere, ma già nel 1948 iniziarono i lavori di restauro.
In splendida posizione, l’antico castello di Sezzate apparteneva alla famiglia dei Bardi. Caduto completamente in rovina, è stato ottimamente restaurato da un’americana, Mrs Ogden Goelet, riportandolo al suo antico aspetto. Gli edifici dell’abitato formavano la cinta muraria e si stringevano attorno alla torre di cui purtroppo rimane solo la base. Attualmente è proprietà di un signore viennese, Hans Ernst Weidinger, che ha ulteriormente restaurato il complesso, con gusto e rispetto del passato.
Il castello di Uzzano si presenta oggi come una villa signorile riccamente addobbata con opere d’arte e mobili antichi. Il suo nome è indissolubilmente legato alla famiglia degli Uzzano, nemici dei Medici ed in seguito varie volte Podestà del Chianti. Il famoso Niccolò, il cui bellissimo busto scolpito da Donatello è conservato al Museo del Bargello, è ricordato per il suo buon governo e per la sua onestà. Nel suo testamento lasciò un sostanzioso patrimonio per costruire l’Università fiorentina e un collegio per bambini poveri, ma quel denaro venne speso dalla Signoria per la guerra contro il Duca di Milano. Oggi il castello è un’azienda vitivinicola: nelle cantine, con mura di nove metri di spessore che assicurano una temperatura pressoché costante durante tutto l’anno, invecchiano le ottime riserve.
La fortuna di questa castello è dovuta al fatto che si trova lungo la via che l’imperatore romano Adriano fece costruire nel 123 d.C. per raccordare la vecchia alla nuova Cassia che passava per il Valdarno. Le origini del castello sono certamente longobarde e il borgo fortificato continuò a prosperare per tutto il Medioevo. Un tempo proprietà dei Canigiani, ricca e potente famiglia fiorentina, che lo tennero per molti secoli, passò poi ai Pitti e infine in tempi più recenti ai François che cercarono di restaurare la struttura onde riportarla alle antiche forme, quelle che aveva prima che venisse bruciata durante l'invasione aragonese. Così si rialzò la torre, si consolidarono le mura, si cercò insomma di ridare alla struttura l’aspetto del vecchio maniero.
L’attuale villa ha perso completamente le sembianze del castello. Qui vi nacque il condottiero Pippo Spano e vi abitò a lungo il Giambologna e dopo di lui il suo allievo Tacca. Passato attraverso la proprietà dei Pitti, degli Alamanni, degli Scolari e dei Talleyrand, venne acquistato nel 1882 dai Pandolfini che ne sono anche gli attuali proprietari.