Il monastero di Passignano, fondato probabilmente nel periodo longobardo, fu tra i primi ad accogliere la riforma monastica di Vallombrosa ideata da San Giovanni Gualberto nella prima metà dell'XI secolo, divenendo presto la punta di diamante nella lotta contro la simonia. Nell’estate del 1050 si svolse a Passignano l’incontro tra Papa Leone IX e San Giovanni Gualberto, instancabile lottatore per la libertà della Chiesa. Prima di morire il 12 luglio 1073 proprio a Passignano, Giovanni ebbe la soddisfazione di veder salire al soglio pontificio quell’Ildebrando che aveva difeso, solo contro tutti, l’ideale monastico di Vallombrosa. Il monastero, custode delle spoglie mortali del Santo, ebbe sempre un posto di prestigio nell’ambito vallombrosano. Grazie a ricche donazioni, amministrava vasti territori nel Chianti e vari edifici adibiti a culto o all’accoglienza di pellegrini, poveri o malati.
Ingresso al paese (foto www.colonialvoyage.com)
Posto ai confini tra i contadi fiorentino e senese e seguendo perlopiù gli orientamenti politici di Siena, il monastero subì spesso nelle ostilità gravi danni. Al monastero era rivolta non solo l’attenzione delle due città toscane, ma anche quella dell’Imperatore tedesco e dell’Imperatore di Costantinopoli, quest'ultimo desideroso di conquistare nell’Italia centro-settentrionale ciò che i Normanni gli avevano sottratto in quella meridionale. Lo scisma sconvolse l’intera Congregazione vallombrosana, soprattutto quando nel 1168 fu nominato antipapa Giovanni, abate del monastero vallombrosano di Strumi. Sempre coinvolto nelle ostilità contro il capoluogo toscano, Passignano, insieme alla famiglia Alberti, progettò di costruire non una fortezza, ma una città : Semifonte. Passignano aveva già contribuito costruendo una chiesa e un ospedale, quando nel 1196 i fiorentini distrussero il monastero e la nuova città , imponendo una tassa ai monaci per la sistemazione dei semifontesi.
Il 1° ottobre 1193, con solennità , papa Celestino III celebrò la canonizzazione di San Giovanni Gualberto, la prima della storia della Chiesa, alla quale parteciparono 23 cardinali, un arcivescovo, l’abate di Fulda, inviati dell’Imperatore bizantino e del Re d’Inghilterra.
Per sostenere le spese militari contro l’Imperatore Federico II, Papa Gregorio IX impose nel 1229 ai monasteri toscani delle gravi tasse, per pagare le quali quasi tutti i beni immobili dei monasteri vallombrosani caddero in possesso nel 1245 dei creditori fiorentini. Quando nel 1267 i Ghibellini vennero scacciati definitivamente da Firenze che impose anche a Siena un governo guelfo, il monastero cambiò orientamento politico. Da questo momento iniziò anche la riedificazione del monastero, terminata nel 1297 con la potente torre campanaria. Il 7 gennaio 1441 venne nominato abate di Passignano Francesco Altoviti: egli darà via alla ricostruzione del monastero nelle forme rinascimentali a noi pervenute. Terminata la costruzione, si cominciò a pensare alla decorazione pittorica che si protrasse per i due secoli successivi: la decorazione della chiesa romanica terminò nel 1609 con la trasformazione nel suo attuale aspetto barocco. Dopo secoli abbastanza tranquilli, il dominio napoleonico interruppe nel 1810 la vita monastica disperdendo il patrimonio archivistico e artistico della Badia. Dopo una breve parentesi, nel 1866 il governo regio italiano soppresse definitivamente tutti gli ordini religiosi e incamerò la proprietà della Badia che nel 1870 venne messa all’asta e venduta. Solo nel 1986 i monaci vallombrosani ripresero possesso del complesso iniziando un nuovo cammino.
Gli affreschi e le tavole che sono tutt’ora presenti nella chiesa abbaziale di San Michele Arcangelo farebbero invidia ad una pinacoteca. Sul recinto trasversale del coro monastico, poco dopo l’ingresso, si possono ammirare due pregevoli tavole dipinte da Michele Tosino: la tavola a destra raggruppa i tre Arcangeli, Michele, Gabriele e Raffaele, riconoscibili dai loro caratteristici attributi; quella di sinistra raffigura la Natività . La cappella maggiore è stata affrescata nel 1601 da Domenico Cresti detto il Passignano: la volta rappresenta l’Eterno Padre in gloria e di bell’effetto sono gli angeli musicanti seduti sulla balaustra. Anche le tele sono del Passignano, alcune di ottima fattura. Nella cappella dedicata a San Giovanni Gualberto si trovano la serie di dipinti opera di Giovanni Maria Butteri e Alessandro Pieroni che testimonia la vita del Santo e i notevoli affreschi di Alessandro Allori che narrano con freschezza e vivacità alcuni episodi dell'esistenza del Santo. Curiosamente si trovano nel transetto anche i ritratti del Granduca Francesco I e della sua amante Bianca Cappello, la cui storia d’amore divise Firenze. Nello stesso transetto è collocata la semplice lastra tombale di San Giovanni Gualberto. Nella cappella di S. Atto si ammirano interessanti affreschi di Benedetto Veli che narrano alcune storie del Santo. La grandiosa scena dell’esposizione nel Duomo di Pistoia del corpo di S. Atto, riesumato incorrotto dopo 250 anni, è assai piacevole nella coreografia, solenne per la prospettiva scorciata e vivace nei gesti dei pastori e dei mendicanti. Nella sagrestia tutto ricorda il fondatore dell’ordine monastico, da un reliquario appartenente al Santo, al tabernacolo il cui sportello dipinto riporta scene della sua vita.
A prima vista il vasto complesso architettonico che sorge a fianco della chiesa, con le sue mura merlate e le cinque torri che le fanno corona, si presenta con l’aspetto di un castello medievale. La vista dell’interno, soprattutto del chiostro, ci mette invece di fronte alla struttura di una vera badia benedettina. Come già detto, il quasi totale rifacimento avvenne nel periodo rinascimentale. Invece la datazione dell’ingresso attuale al monastero con la soprastante torre e la facciata esterna a sinistra va posta dopo il 1870, quando l’antica Badia passò a mano privata e, secondo la moda del tempo, si volle darle un’impronta neogotica di villa-castello.
Il chiostro fu iniziato nel 1470 su disegno dell’architetto Jacopo Rosselli: la sua architettura, comune ad altri chiostri toscani della seconda metà del ‘400, presenta al piano terra ampie arcate a sesto ribassato e volte a crociera. Il piano superiore, originariamente aperto, è stato affrescato alla fine del Quattrocento da Filippo Filippelli con scene della vita di San Benedetto. Gli affreschi subirono gravi danni verso il 1734 per una totale imbiancatura a calce e solamente all’inizio del Novecento sono tornati alla luce.
Sempre al periodo di rinnovamento quattrocentesco appartiene l’antico refettorio dei monaci: un’ampia sala coperta con volte a botte lunettate poggianti su bei peducci in pietra serena. Ad affrescarlo venne chiamato nel 1476 Domenico Ghirlandaio con l’incarico di dipingere l’Ultima Cena. Il Cenacolo del Ghirlandaio illustra un ambiente basso dando quasi l’apparenza di un refettorio conventuale: l’architettura è quattrocentesca, sapiente la prospettiva. Al centro dell’affresco i due maggiori protagonisti del grande dramma, uno di fronte all’altro: Giuda, consapevole del tradimento, esprime una cupa solitudine; Cristo ha un gesto di solennità religiosa; poi Giovanni, il suo prediletto, che appoggia la testa sul petto del maestro. Differenti, ma ricche di espressione, le figure degli altri apostoli: alcuni dai volti belli e giovanili, altri dai vigorosi ritratti.
Anche la cucina del vecchio convento si presenta ancora oggi piena di solenne fascino quattrocentesco.